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COVID 19 e noi: la posizione SIPMeL sulla diagnostica

22/03/2020

di Maria Golato, Danilo Villalta, Piero Cappelletti

La pandemia da Coronavirus (Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2, SARS-CoV-2), comunemente COVID-19, sta sconvolgendo la vita di miliardi di persone e le loro certezze.

Anche gli scienziati, i medici e il personale sanitario fronteggiano un nemico largamente sconosciuto, pagando un alto scotto in termini di impegno, di stress, di rischio, collegati a non sempre chiare disposizioni e disponibilità di DPI, di contagio e di morti.

La Medicina di Laboratorio fa la sua parte, nella ricerca e nella diagnostica.

Se oggi conosciamo meglio il COVID-19, la sua “nascita” cinese nel novembre 2019, la sua caratterizzazione molecolare, i meccanismi patogenetici, le possibilità terapeutiche e quelle vaccinali è grazie al lavoro di medici, biologi e tecnici dei laboratori di ricerca cinesi, americani, europei ed italiani.

Nella realtà clinica, i Laboratori italiani e il loro personale si sono riorganizzati intorno alle necessità primarie della diagnosi e diagnosi differenziale di COVID-19 attraverso la determinazione molecolare (con RT-PCR per SARS-CoV-2 RNA) dell’agente patogeno raccolto in almeno 2 tamponi naso-faringei, prelevati a distanza di 1-3 giorni, diagnostica di elevata qualità, ma non priva di problematiche preanalitiche ed analitiche.

La richiesta di tamponi per diagnosi di certezza dei sintomatici, per la ricerca dei possibili “diffusori” e per tracciare le rotte del virus (pur nel dibattito sull’estensione del numero di tamponi da effettuare e sulle caratteristiche della popolazione da saggiare) ha costretto alla realizzazione rapidissima di organizzazioni che sfornano dati in continuazione con livelli di affidabilità elevatissimi, nonostante i consueti limiti di sensibilità e specificità di ogni test in vitro. Un elenco di prodotti e produttori, in continuo divenire, è fornito da WHO. L’apporto interpretativo del Laboratorio è essenziale per l’utilizzo clinico efficace dei risultati in ambito infettivologico, terapeutico ed epidemiologico, in particolare nelle prime fasi dell’infezione e dell’epidemia. In questo contesto va ricordato che la diagnosi clinica deriva sempre dall’integrazione dei dati  e che la diagnostica virologica deve tener sempre presente delle possibili altri cause di origine virale (influenza, virus respiratori sinciziali, ecc.) o meno.

Il dibattito pubblico su quale popolazione deve essere indagata tramite tampone (solo sintomatici, sintomatici e contatti, tutti i lavoratori della sanità, la popolazione generale che risiede in zone ad alta endemia, ecc.) si è esteso ora anche all’utilizzo della diagnostica dell’infezione in atto o pregressa tramite la determinazione nel siero degli anticorpi specifici di classe IgM e IgG, rivolti verso proteine specifiche del nucleocapside o degli spike virali, con metodi immunometrici (ELISA, CLIA, Cassette Rapid test).

La disponibilità di test di questo genere aumenta a valanga per cui è difficile distinguere qualità ed efficacia clinica. In mancanza di riferimenti specifici, vi è in atto un dibattito scientifico e politico sull’uso più corretto della diagnostica sierologica, in particolare sul momento più opportuno in cui usarla e cioè nel momento della crescita esponenziale del contagio (come test di screening, con conferma dei positivi con test molecolare, o in fase diagnostica, affiancata alla diagnostica molecolare al fine di raggiungere la migliore accuratezza) o alla fine della endemia per avere un reale quadro di quella che è stata la diffusione del virus e quindi per valutare lo stato di immunizzazione della popolazione.
In ogni caso la mappatura dei soggetti che hanno avuto contatto con il virus, molto spesso in modo del tutto asintomatico, e hanno maturato un’immunità (si spera duratura), di quelli che sono ancora infettivi, seppur a/paucisintomatici, e di quelli che sono privi di anticorpi e quindi potenzialmente suscettibili di contagio sarà necessaria per la riammissione alle attività lavorative (a cominciare dalle prime linee, specialmente sanitarie), per isolare nuovi focolai (bastano 4 casi per avere una probabilità di oltre il 50% di una nuova epidemia), per selezionare i primi vaccinandi (quando un vaccino sarà disponibile) e a scopi epidemiologici indispensabili per una adeguata epicrisi del fenomeno e per prepararsi alle incerte sequele.

La diagnostica anticorpale può contare già su numerosi kit diagnostici con marchio CE disponibili in commercio per la determinazione di  IgG e IgM anti SARS-CoV-2, su strumenti automatizzati e ad alta efficienza analitica, nonché su test rapidi (cassette rapid test), che possono fornire il risultato in 15’, ma sono completamente manuali, sui quali si è appuntata l’attenzione di istituzioni e singoli.
Pur nell’urgenza, reale e/o percepita, della messa in campo di tali presidi, alcune accortezze basilari vanno ricordate: esistono riconoscimenti formali indispensabili (marchio CE), devono esistere prove di affidabilità (accuratezza, precisione, specificità, sensibilità) inconfutabili e valutate in fase di acquisizione, le forniture devono essere assicurate ed omogenee, le determinazioni devono essere eseguite da personale certificato e devono essere interpretate da personale abilitato, i risultati devono essere inseriti nelle procedure di rilevamento e trattamento dei positivi normativamente stabilite.

Viceversa assistiamo ad un fai-da-te istituzionale (Regioni) e individuale (Ditte ed intermediari, Farmacie,…) nell’approvvigionamento ed esecuzioni di  test rapidi colmo di rischi di determinazioni errate, di decisioni sanitarie sbagliate e di percorsi individuali a rischio personale e collettivo.

La diagnostica di Laboratorio è sempre una cosa seria, anche se legislatori e clinici se ne dimenticano, e spesso, come in questo caso, essenziale strumento di interventi individuali e collettivi per la salute. La diagnostica di COVID-19 è oggi strumento critico di salute pubblica e deve essere eseguita da laboratori autorizzati e di elevata abilità specifica anche in termini di valutazione dei kit (non dimentichiamo che si sta “provando” sul campo la qualità della diagnostica via via disponibile ma non validata), inseriti nella catena di controllo dell’epidemia.

La centralità della Medicina di Laboratorio nella vita di cittadini e pazienti è una delle cose su cui puntare per uscire dalla pandemia e che dovremo ricordare, quando l’onda sarà passata.