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112 - L’emocromatosi: diagnostica di laboratorio

Autore/i: P. Doretto (Estratto dall'articolo originale pubblicato su RIMEL-IJLAM vol. 6, n. 4, 2010)

Rivista: RIMeL - IJLaM, Vol. 6, N. 3-S1, 2010 (MAF Servizi srl ed.)

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L’emocromatosi è una sindrome clinica caratterizzata dall’accumulo tossico di ferro nel parenchima di organi vitali quali fegato, cuore e ghiandole endocrine causata dalla mutazione di geni che limitano l’ingresso del ferro nel sangue. La mutazione dei geni coinvolti, che codificano per proteine quali HFE, l’epcidina, il recettore 2 della transferrina, l’emojuvellina e la ferroportina, ha come effetto patogenetico comune la deficienza o la resistenza all’epcidina, denominatore patogenetico comune a tutte le forme di questa sindrome. L’emocromatosi è generalmente associata all’omozigosi del polimorfismo C282Y di HFE, comune nelle popolazioni Caucasiche; tuttavia solo una minoranza presenta l’espressione fenotipica completa della malattia, generalmente in concomitanza di fattori modificatori quali l’abuso alcolico. Il work-up diagnostico deve non solo identificare la malattia ma quantificare il sovraccarico di ferro, definire lo stadio della malattia e identificare i fattori di rischio per la progressione e le complicanze precoci. I cinque successivi step comprendono l’individuazione della popolazione target su cui eseguire l’indagine; l’esecuzione della saturazione della transferrina e della ferritina; se la saturazione della transferrina è >45%, l’esecuzione di tests genetici di primo livello per le mutazioni C282Y e H63D del gene HFR e, in caso di negatività, di secondo livello per la ricerca di mutazioni più rare; la quantificazione del sovraccarico del ferro con esami invasivi (biopsia epatica) o non invasivi (ferritina, RMN SQUID); la stadiazione delle manifestazioni fenotipiche.

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