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141 - L’evoluzione della tecnologia e le ricadute sui percorsi diagnostici nelle malattie autoimmuni

Autore/i: R. Tozzoli

Rivista: RIMeL - IJLaM, Vol. 2, N. 2, 2006 (MAF Servizi srl ed.)

Pagina/e: 141-150

I metodi immunologici convenzionali per la ricerca e la quantificazione di autoanticorpi nel siero hanno costituito per 40 anni uno dei cardini della diagnosi delle malattie autoimmuni e hanno raggiunto nell’ultima decade un grado di accuratezza diagnostica tale da consentire l’inserimento dei test di laboratorio autoanticorpali tra i criteri internazionali di diagnosi e classificazione delle principali patologie autoimmuni, sistemiche ed organo-specifiche. L’elevato grado purificazione raggiunto dagli autoantigeni impiegati in questi metodi ha permesso di coniugare un’alta sensibilità diagnostica ed un’adeguata specificità analitica e diagnostica, in particolare per alcuni nuovi autoanticorpi di rilevante significato clinico, quali gli anti-nucleosomi, gli anti-transglutaminasi, gli anti-recettore del TSH, gli anti-peptidi citrullinati. Negli ultimi 5 anni l’avvento della tecnologia proteomica, che permette la misurazione contemporanea di più autoanticorpi (multiplexing), ha aperto nuovi orizzonti nella diagnostica delle malattie autoimmuni. Il multiplexing presenta un interesse rilevante per il laboratorio clinico, per motivi organizzativi, logistico-gestionali, fisiopatologici e di ricerca. Le tecnologie emergenti sono rappresentate da sistemi basati su microarray planari e non planari (in sospensione): tra questi ultimi vanno compresi i metodi che utilizzano microbiglie colorate o microparticelle codificate. In particolare hanno larga diffusione i sistemi che consentono la rilevazione di microbiglie colorate mediante laserfluorimetria in citometri a flusso: questa metodologia presenta numerose applicazioni commerciali, è in rapida espansione ed è ampiamente validata da numerosi studi clinici, condotti in tutto il mondo. I metodi multiplex consentiranno entro pochi anni l’analisi di profili autoanticorpali, che potranno probabilmente migliorare la comprensione della fisiopatologia dell’autoimmunità, consentire la diagnosi precoce (grazie al valore predittivo degli autoanticorpi) e favorire l’introduzione della terapia antigene-specifica nelle malattie autoimmuni.

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