SIPMeL

Area soci

166 - La diagnosi di laboratorio della carenza di ferro

Autore/i: P. Doretto, P. Cappelletti

Rivista: RIMeL - IJLaM, Vol. 4, N. 3, 2008 (MAF Servizi srl ed.)

Pagina/e: 166-177

La valutazione del ferro sull’aspirato o biopsia midollare con colorazione di Perls rimane ancora oggi il gold standard per valutare i depositi di ferro. Tuttavia sono disponibili molti altri esami di laboratorio, sia biochimici che ematologici, meno invasivi e più pratici, utili per la diagnosi e la gradazione del deficit di ferro. Gli esami biochimici si basano sul metabolismo del ferro e permettono di individuare il deficit di ferro prima della comparsa dell’anemia. Gli esami ematologici, basati sulle caratteristiche dei globuli rossi valutate morfologicamente allo striscio periferico o come citogrammi o indici eritrocitari strumentali quali MCV e l’ampiezza della distribuzione dei volumi eritrocitari (RDW), sono più facilmente disponibili e meno costosi. Nuovi parametri quali CHr e %HYPO sono in grado di diagnosticare il deficit funzionale di ferro, prima che l’anemia sia presente. Nei soggetti anemici tali esami permettono di chiarire o confermare il tipo o la causa dell’anemia. Sfortunatamente non esiste nessun singolo esame “migliore” per la diagnosi di deficit di ferro con o senza anemia. Infatti ciascun esame che valuta lo stato marziale riflette modificazioni in differenti compartimenti del ferro corporeo (di deposito, di trasporto, metabolico-funzionale), è influenzato da differenti livelli di deplezione marziale e presenta una sovrapposizione tra valori normali e patologici. Il ricorso a test multipli con varie combinazioni possibili, tra cui la migliore sembra essere emoglobina, recettori solubili della transferrina e ferritina, migliora la specificità ma sottostima ancora il deficit di ferro valutato come misura della risposta emoglobinica al supplemento orale di ferro

Articolo in formato PDF

Torna al numero corrente