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Come ragiona la testa di chi processa i medici? Parte prima

09/01/2019

Le linee guida evitano i rischi dei consulenti tecnici

Dopo un anno e mezzo dall’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, nei tribunali la situazione per i medici non è cambiata.
In un interessante articolo, pubblicato sul sito dell’ENPAM (l’ente di previdenza e assistenza dei medici), Andrea Le Pera intervista Tiziana Siciliano, procuratore aggiunto presso il Tribunale di Milano che coordina il pool di magistrati impegnato sui reati di ambiente, salute e lavoro.

Il ragionamento del magistrato parte da un dato ben noto: l’elevato numero di denunce presentate nei confronti dei medici. Solo a Milano durante il 2017 sono stati iscritti circa 300 fascicoli, quasi uno al giorno. Circa il 30 per cento non vede il processo perché la denuncia è archiviata, anche se il carico di lavoro per i giudici resta comunque elevato, visto che le richieste di archiviazione devono essere motivate e richiedono tempi consistenti.
La parte restante, che finisce a processo, vede una condanna dei medici in circa un caso su cinque, quindi circa il 14% delle denunce presentate. Quello che sorprende è che nei processi continuano a svolgere un ruolo fondamentale i consulenti tecnici, perché mancano le linee guida, che secondo la legge Gelli dovrebbero rappresentare il punto di riferimento dei giudici nel valutare il comportamento dei camici bianchi (notizia SIPMeL del 16 dicembre 2018).

L’analisi del magistrato prosegue confermando che nel passaggio dal decreto Balduzzi alla legge Gelli-Bianco, “non è chiaro quale scenario possa essere considerato più favorevole per i medici” (notizia SIPMeL del 18 luglio 2017).
Risulta evidente inoltre, che il pilastro su cui si fonda la legge, cioè l’individuazione di linee guida, ancora non esiste. Il principio ispiratore della legge è quello di caratterizzare le condotte corrette. In questo modo il medico, mantenendo la propria responsabilità nell’individuare la patologia e la cura, si sente rassicurato ed il giudice è vincolato nella sua decisione da modelli predeterminati. L’obiettivo è di innescare un processo virtuoso, che avrebbe un impatto anche sul fenomeno della medicina difensiva.

In assenza di linee guida, il pubblico ministero prima, e il giudice dopo, devono analizzare la documentazione per valutare la condotta del medico e, per consentirne la valutazione, entra in gioco il ruolo dei consulenti, con il risultato che spesso quello capace di scrivere meglio diventa il più convincente.